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Per Aspera Ad Veritatem n.18
Il risveglio islamico e le sue conseguenze

Igor MAN




Signore e Signori, Autorità. Come anticipato dal Prefetto Stelo, la mia presenza qui è un atto di servizio. Io vengo gratis et amor Dei per servire il mio Paese comunicandovi la mia piccola esperienza. Parlare non è un divertimento, ascoltarmi forse non lo sarà, ma è un impegno al servizio di questo nostro caro Paese, di questa nostra Patria.
Ripensavo allo sforzo generoso che il Capo dello Stato sta facendo, piano piano, sommessamente, con il suo aspetto di uomo comune, per ricucire l'unità nazionale, per restituire fiducia nelle Istituzioni, nello Stato. Oggi nessuno o forse pochissimi credono nei cosiddetti "valori". Dire Patria sembra addirittura una bestemmia.
Se noi riuscissimo, con pazienza, a ricordare agli italiani che, pur non essendo una grande potenza, siamo un'antica e grande nazione, avremmo fatto qualcosa di buono.
Per calarci nell'attualità, possiamo partire con un rapidissimo flash sulle ultime notizie che ho da laggiù, in particolare la Siria. Mi soffermerò poi sul risveglio islamico, cercherò di proporvi un'analisi del fenomeno.
In Siria non c'è ancora nulla di definito. È iniziata una forte battaglia per il potere. Escluderei che il fratello di Assad, Ref'at, possa fare qualche cosa. Ritengo non abbia gli strumenti adatti. Del resto, quei pochi uomini che aveva dalla sua parte sono stati messi fuori gioco.
Il problema fondamentale mi sembra quello di riuscire a capire se, nella sua lucida agonia, Assad abbia potuto creare una sponda nell'esercito al figlio successore, Bashar. Va considerato che questi sembra completamente fuori da una realtà atipica qual è quella siriana (perché nel mondo arabo la Siria è una cosa a parte). Tra le cose che sappiamo di lui è che faceva l'oculista, coltiva le rose, si interessa di Internet. Non è solo un problema di carisma personale, perché molte volte è il ruolo che fa la persona. Ricordo, ad esempio, che quando morì Nasser, il suo successore Sadat non godeva di grande considerazione mentre poi si è rivelato un grande statista e anche, sul piano storico, un uomo coraggioso. È difficile quindi dire se questo ragazzo sarà in grado di assumere il ruolo di leader. Credo molto dipenda dal fatto se suo padre sia o meno riuscito a creargli intorno una cintura di sicurezza. È chiaro che Bashar dovrà anche fare i conti con la sua popolazione, con il mondo arabo e l'Islam. Sarà riuscito questo padre a controllare la sicurezza, il famoso Deuxieme Bureau siriano, che com'è noto è un servizio segreto, già istruito dai francesi, di grande validità? Sarà riuscito l'agonizzante padre, mi chiedo nuovamente, ad assicurare al figlio tre-quattro referenti in questa struttura potentissima che, attraverso una maglia fortissima di informatori, sorveglia tutti e tiene lo Stato in piedi? In realtà, non lo sappiamo con certezza. Assad lavorava per questo. Sembra ci sia riuscito.
Tuttavia cinquant'anni di mestiere, di cui molti spesi laggiù, mi hanno insegnato che in Medio Oriente una cosa è l'apparenza e una cosa è la realtà. Non bisogna mai fidarsi dell'apparenza. Questo è l'errore in cui cadono molti miei colleghi giornalisti, anche illustri.
Per esempio, recentemente Sergio Romano, proponendo un paragone fra Saddam Hussein e Assad, ha scritto in prima pagina sul primo giornale italiano, il Corriere della Sera che un elemento comune tra i due è che entrambi sono militari. Non concordo affatto.
Ciò vale, in realtà solo per Assad. Egli aveva infatti frequentato un corso come ufficiale pilota di caccia in URSS insieme con Mubarak, attuale presidente egiziano, che tuttavia frequentava la scuola di pilota bombardiere. Sono entrambi personaggi con buona conoscenza della lingua russa. In particolare Mubarak lo parla benissimo.
Personaggi simili, sia Assad che Mubarak hanno subìto migliaia, centomila trasformazioni, si sono adattati come dei camaleonti, hanno la forza di decidere.
Uno dei capi del Mossad, che segue il dossier siriano, si chiedeva recentemente: "Ma questo ragazzo - che io chiamo Bashar - non ha in sé gli elementi atti a sopravvivere, non è come Hudaj, il figlio di Saddam Hussein, il quale prima di prendere il breakfast ammazza tre quattro persone". Era, ovviamente, un paradosso per ricalcare la differenza tra i due personaggi. Sergio Romano dice che Saddam e Assad sono entrambi militari.
Saddam Hussein, in realtà, non ha fatto un giorno di naia. Ha indossato una divisa, si è autoproclamato Maresciallo, ma è odiato dai militari veri. Quelli che stanno intorno a lui sono o dei "disgraziati" o degli abilissimi uomini di intelligence vestiti in divisa, perché il maschilismo laggiù si estrinseca con la divisa, con il comando, con il gallone, con il bastone.
Allo stato degli atti, la chiave del destino, in Palestina, è nelle mani di Barak, cioè di Israele. Se Israele ha l'umiltà di rassegnarsi agli accordi di Oslo eviterà una doppia tragedia, eviterà che il vecchio Arafat sia costretto a proclamare lo Stato Palestinese unilateralmente.
L'ultima volta che l'ho visto a Roma (l'ho conosciuto nel 1956, crisi di Suez, al Cairo, me lo presentò Pollack, il famoso giornalista americano, quindi lo conosco da una vita intera) mi ha detto: "Igor questi ragazzi non li tengo più, quindi qui la catastrofe può arrivare da un momento all'altro".
Barak è in crisi perché paradossalmente in Israele, che è un Paese laico, comandano i religiosi. Il partito Schass l'ha messo in crisi. Tuttavia, Barak ha tutte le possibilità e la valenza intrinseca per imporsi e per dire agli israeliani che la pace si deve fare.
Questo piccolo Stato palestinese si ha da fare. Fra venticinque, cinquant'anni impareremo a conoscerci. Ma il futuro è nel cuore antico del mondo, cioè nella Palestina.
A mio parere, anche se può apparire paradossale, la chiave è ancora una volta, nel cuore antico del mondo, cioè nella Palestina.
Mi riferirò ora a delle note che sono un po' la summa di quello che sono andato scrivendo o dicendo in televisione in questi ultimi tempi. Il cosiddetto "risveglio islamico" si è inserito nello scontro Nord-Sud che, fino a qualche tempo fa era una sfida culturale, nel senso letterale del termine, mentre ora rischia di diventare una sfida vera e propria.
Si profila, infatti, l'incubo della immigrazione massiccia dai Paesi del Sud verso l'Italia, in quanto il nostro Paese, come sapete, è una passerella verso l'Europa. È chiaro che non siamo preparati ad assorbire una simile massa di gente.
Mi dicono che i Servizi di un grande paese come la Francia abbiano in mente questa "trovata", cioè selezionare fra gli immigrati, clandestini e non, elementi capaci di essere infiltrati. Perché, voi lo sapete, non sono pochi i cittadini francesi che sono algerini, che sono di colore. Quattro anni fa, lo ricorderete, sono avvenuti attentati terribili sugli Champs Eliseés. Nella banlieu io stesso con dodici franchi ho comprato una video cassetta, che si vendeva liberamente, dove ti insegnavano come preparare le bombe molotov e, ancor peggio, quelle da mettere nei canestri, agli Champs Elisées, con i chiodi per ammazzare la gente.
Questa mi pare una cosa da segnalare a gente del mestiere, di alta professionalità, quale voi siete. La Francia sta facendo questa operazione: selezionare tra clandestini e non clandestini elementi capaci di infiltrarsi per bloccare eventuali attentati che molte volte nascono dalla miseria, dalla disperazione, con una manovalanza nuova, la manovalanza della immigrazione clandestina.
Tornando al "risveglio islamico", chi si interessa oggi all'Islam non può non scoprire una fede, ma anche quello che Max Rodinson definisce la vocazione a strutturare il politico e il sociale, cioè un'ideologia religiosa di organizzazione della società, l'insieme dei legami che mantengono i rapporti fra i credenti che sono definiti una nazione-cittadella. Al contrario della nostra tradizione, che si riassume nell'espressione "Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio", nel mondo islamico il nazionale, il religioso e il sociale sono tutt'uno. Il versetto 110 della terza Sura del Corano dice infatti: "Voi siete la migliore nazione che possa unire degli uomini, voi invero praticate il bene, impedite il male, giacché credete in Dio".
Ciò posto, aggiungo che sarebbe molto superficiale valutare le manifestazioni di integralismo che si svolgono in Tunisia, in Pakistan, in Marocco e negli altri paesi, alla stregua di testimonianze della presenza preponderante, in quelle società, di elementi oscuri o retrogradi. Sarebbe altrettanto incauto vedere in certi movimenti e in certe manifestazioni, anche di massa, l'aspirazione a un rinnovamento spirituale. Nulla di tutto ciò.
Va ricordato che in Oriente il vettore religioso è spiccatamente politico, l'ho accennato dianzi. Le esplosioni di essenzialismo integralista - non amo la parola fanatismo, preferisco la dizione di Karl Popper che parla di essenzialismo - alle quali stiamo assistendo da almeno quattro lustri, denunciano la presenza attiva del cosiddetto Islam militante, cioè un insieme di individui che scelgono l'impegno politico in nome di un Islam inteso come una sorta di Internazionale Musulmana e di controsocietà.
A quali fini? Per realizzare, ecco l'utopia, uno Stato musulmano sul modulo del governo di Maometto alla Medina tra gli anni 621 e 631. Per noi la vecchia storia è un lontano abisso, per loro la vecchia storia è presente. Questo rappresenta un elemento basilare senza la consapevolezza del quale non si può capire né il vù cumprà né altro, perché è completamente all'opposto del nostro modo di ragionare.
Un po' tutti i Paesi musulmani avvertono, da tempo, profondi scossoni in forza dell'attività dei vari, chiamiamoli così, partigiani di Dio. E quali scossoni! Ne citerò intanto uno: "Rivoluzione islamica in Iran".
Io l'ho vissuta tutta, come giornalista. Colui che mi ha espulso dall'Iran durante la guerra con Saddam, perché io avrei attaccato Khomeini, oggi si chiama Kathami ed è un moderato: il Presidente della Repubblica.
Quando a un pranzo di lavoro a Villa Madama, l'allora Presidente del Consiglio D'Alema mi presentò così a Khatami: "Igor Man, illustre giornalista", dissi "Ci conosciamo". "Sì, ci conosciamo", ammise. "Lei in tre giorni mi ha cacciato". "Ma sa, le cose cambiano".
Allora, dunque, rivoluzione a mani nude in Iran, guerra civile in Siria tra baasisti e Fratelli musulmani o Hama. Nel 1982, ventimila morti, città rase al suolo. Complotti negli Emirati del Golfo, pubbliche esecuzioni in Iraq, guerra islamica in Afghanistan, fermenti nelle Università e via dicendo.
Sempre a proposito di scossoni, nonché del primato della legge religiosa in Kuwait e in Pakistan, pensate che i famosi Talebani di cui tanto si parla sono una delle settantasette "sette" del Pakistan.
Assistiamo anche ad un fenomeno nuovo e interessante, il ritorno alla Moschea in Turchia. Nelle campagne, dov'è la vera Turchia, oramai si torna alla Moschea. Le donne sono tutte velate. Istanbul è ancora città di divertimenti, ma già ad Ankara in certi quartieri si entra nel profondo medioevo. Infine, come ricorderete per il vostro mestiere, nella teocratica Arabia Saudita il 18 novembre del '79 ci fu un assalto alla grande Moschea della Mecca da parte di integralisti che rimproveravano alla Casa Reale di essere impura. Allorché ci fu la famosa polemica della Pivetti che andò a pregare quando inaugurarono la Moschea di Roma, mi capitò di incontrare, dopo qualche giorno, il principe Feysal dell'Arabia Saudita che mi onora non dico della sua amicizia, ma della sua frequentazione. Gli dissi: "Senta, Altezza, ma com'è questo fatto? Noi facciamo le moschee a Roma e se un disgraziato si arrischia ad ascoltare, a celebrare la messa in Arabia Saudita in una casa privata va incontro a non pochi problemi. Non possiamo neanche erigere una chiesola ?" "Scusi, fratello Igor - mi rispose il principe - ma lei se la immagina una moschea dentro la Città del Vaticano?" "No", risposi. "Bene, Lei consideri l'Arabia Saudita come la Città del Vaticano del mondo arabo". Una risposta perfetta. Per quanto riguarda il problema del velo, mi sembra che qualcosa di positivo sia stato fatto dal Ministro della Pubblica Istruzione, il Professor De Mauro, il quale ha affermato che se il chador è solo un modo per distinguersi, allora perché non consentirlo. Il problema vero sorge sull'ora di religione. Si potrebbe far coincidere negli orari scolastici l'ora musulmana con quella cattolica in modo che i musulmani possano, in un luogo a parte, leggere le Sure del Corano, visto che già a tre anni cominciano a impararlo ritmicamente, e dopo un'ora si riuniscano alla classe che ha svolto l'ora di religione cattolica. Non vedo quindi questa grande difficoltà, in quanto i musulmani non hanno bisogno di un Muftì o di un Imam che gli ricordi il catechismo, sono cose che conoscono perfettamente.
Diversa è la questione della reciprocità. In realtà, a mio avviso, non può esistere reciprocità poiché l'Islam non è uno solo, ce ne sono cento, duecento, trecento, non esiste un capo riconosciuto, un leader in assoluto. Esiste un Islam più moderato in Indonesia, uno molto tollerante in Tunisia, un Islam wahabita chiuso, uno ancora differente in Arabia Saudita. Mancando un referente unico, è difficile stabilire con chi trattare e quindi stabilire condizioni di reciprocità. Paradossalmente con Israele la situazione è più semplice e infatti esiste la reciprocità. Finalmente lo Stato Vaticano ha riconosciuto Israele in condizioni di reciprocità, ma ciò è stato possibile in quanto si era in presenza di uno Stato che si confrontava con un altro Stato.
Con chi si può trattare "il problema della Moschea" o, come giustamente è stato detto, della religione islamica? Con chi? Di volta in volta è necessario concludere un accordo con l'Arabia Saudita, poi con l'Algeria, e così via. Si tratta di una soluzione un po' macchinosa, difficile, che può creare discrepanze. È un grosso problema, per me irrisolvibile, perché non esiste un solo Islam.
Molti scrivono, anche sulla stampa internazionale, che c'è tuttavia una satellizzazione del mappamondo islamico con un centro che può essere l'Iran o il Sudan o il Pakistan. Una faccenda difficilmente concepibile. I vecchi esperti del Cairo dicono e mi ricordano che mai nella loro storia i dissidenti, i rivoluzionari, i facinorosi dell'Islam sono riusciti a trasformare la contestazione in istituzione. Negli Anni '30 ci furono dei moti tremendi e orrendi, neanche allora ci riuscirono. Non ci riusciranno, secondo me, mai.
E questo ci dovrebbe un po' tranquillizzare.
D'altra parte, non bisogna credere che dietro l'esplosione del fondamentalismo o "risveglio islamico" ci sia una mano misteriosa. L'esplosione rivela piuttosto la presa di coscienza di un rovinoso fallimento politico, quello del nazionalismo laico o laicizzante importato dall'Occidente. Bisogna ricordare che l'idea modernista tentò il mondo islamico. In Iran, per esempio, i Palhavi, padre e figlio. Nei paesi arabi, dopo la grande stagione della indipendenza euforica, un riformismo cauto mutuato da Ataturk ha ispirato i programmi di personaggi quali Nuriel Said, che fu eliminato nel '58 dal Colonnello Kassem, a Bagdad. Io ero là, facevano a pezzi la gente. Il Principe reggente, Nuriel Said, a pezzi. Vendevano a due fils, due centesimi, i pezzettini di carne, e la gente li comprava: tutti contenti, in quei giorni tragici. Il riformismo mutuato da Ataturk ha ispirato personaggi come Kassem, Ben Bella Bumedien, i dirigenti del Baas e quelli dell'O.L.P..
Ma al principio degli Anni '70, i risultati più evidenti di decenni di opzione laico-modernista, e quindi europeista, come potevano essere individuati e a che cosa avevano portato? Il neocolonialismo economico, l'alienazione culturale, l'urbanizzazione selvaggia, l'arroganza dei quadri dirigenti. In realtà, l'esaltante avventura modernista si è tradotta in un sottosviluppo generalizzato con l'eccezione di qualche paese del Golfo.
Ma c'è di più: stravolti dalla propaganda e traumatizzati dalla forza di Israele, i popoli arabi hanno finito col credere che le disfatte siano dipese dalla incapacità delle ideologie laiche a realizzare le aspirazioni popolari.
Il malcontento popolare, rinvigorito da un collettivo senso di colpa ("Ma come abbiamo potuto abbandonare i nostri "ismi" e rifugiarci nel modernismo?"), si è riportato nella Moschea. Gli integralisti dell'Islam cristallizzano questo malcontento e questo rimorso.
La rivoluzione khomeinista arriva nel '79 come un temporale d'estate e assesta il colpo finale, catalizzando il purismo musulmano. La tensione islamica che in tutti i paesi arabi unisce le forze di opposizione ha finalmente trovato un punto di riferimento. Da qui la fiammata integralista o il cosiddetto "risveglio islamico".
A questo punto dovrebbe apparire chiaro che, per esempio, il caso Salman Rashdi - scrittore a mio avviso banale - ovvero l'appello al confessionalismo del famigerato Al Turabi, leader spirituale del Sudan, oggi apparentemente in ribasso, il rodomontismo di Saddam Hussein sono soltanto quello che in artiglieria si chiama un falso scopo. L'obiettivo è più ambizioso. Falso scopo: io miro qua per colpire là. L'obiettivo ambizioso qual è? Destabilizzare l'Occidente, passo dopo passo.
L'odio di certi ambienti mediorientali verso Israele, verso gli Stati Uniti e quindi verso l'Europa ha finito col comprendere l'intera comunità occidentale. Quelle che sono state definite le frontiere della frustrazione e della rabbia si sono estese appunto all'Europa, sicché a ben vedere il dramma della cultura tradizionale islamica è nella sua volontà di essere antagonista di quella civiltà che un tempo fu tutta cristiana. Oggi l'Islam è in netto antagonismo, questo è il vero problema.
Ma in un mondo afflitto da nomadismo intellettuale, ancorato a vecchi miti, non è facile razionalizzare e pertanto la tragedia palestinese, giusto per fare un esempio fiammeggiante, spesso non viene analizzata con strumenti cartesiani, bensì etici. Da qui le difficoltà sempre crescenti che il povero Arafat incontra con i tradizionalisti di Hamas a Gaza e nella stessa Cisgiordania.
Nell'Università di Bir el Zeit in Cisgiordania, ad esempio, arrivano a volte teologi che, in realtà, sono degli agitatori. I testi sacri, la religione possono essere manipolati come si vuole. Si aggiunga che molti di questi docenti spesso strumentalizzano il Corano e vanno ad allevare una gioventù frustrata e stanca di vivere in campi profughi, dove si instilla l'odio.
Qualche tempo fa, ho avuto modo di incontrare Arafat il quale, riferendosi alla gioventù palestinese, mi ha detto: "Non ce la faccio più a tenerli". Cosa voleva dire? Che i suoi ragazzi, a parte la frustrazione di vedersi prendere in giro in maniera sanguinosa giorno dopo giorno, sono aizzati e sobillati. Da chi? Non si sa, da persone che forse agiscono autonomamente. Anche il Risorgimento, sul quale è stato tanto scritto, in realtà l'hanno fatto pochi intellettuali, però è servito a fare l'Italia.
Arrivare alla cause del malessere di una società come quella araba, scrive il sociologo marocchino Mahady Nagra, che oggi è uno dei consiglieri del giovane Re che io ho conosciuto e che, devo dire, mi ha fatto un'ottima impressione (a prescindere da certe sfumature del personaggio che non mi interessano), una società in cui analfabetismo e latitanza della scienza si intrecciano, diventa sommamente difficile.
A detta di alcuni islamisti, che non si stancano di analizzare il risveglio islamico, ci troviamo di fronte a una Internazionale religiosa. Secondo altri, ci troviamo di fronte ad un riflusso paragonabile alle nostalgie del Monsignor Lefèbvre contrario, come voi sapete, al Concilio Vaticano II.
Ma c'è anche chi parla di novelli cavalieri templari dell'Islam, usciti dal lontano passato, e chi ipotizza addirittura una sorta di Opus Dei che brandisce il Corano in luogo della Bibbia, in luogo dei Vangeli. Alla radice del risveglio islamico, che in realtà è un cocktail di fede, violenza e spontaneismo, troviamo a conti fatti la presunzione di seppellire tutti gli "ismi" dell'Occidente a cominciare appunto dal modernismo, liberale o hegeliano, marxista o strutturale, in quanto tale; il modernismo come antitesi del tradizionalismo conservatore.
Quest'ultimo pretende di non essere una forma di oscurantismo bensì, al contrario, il mezzo di recupero di quei valori che comportano un progresso etico-sociale. Da non confondersi, beninteso, con l'illusione mistificatrice del consumismo, della tecnologia mortificatrice dell'uomo, del laicismo nazionalista, mutuato dall'Occidente. Attenzione, non è così. Relegati in soffitta i pensatori contemporanei, quali il marocchino Abdallah Lakaoni e il tunisino Hisem Djaait che si sforzano di recuperare i valori musulmani del passato ancorandoli alla realtà attuale, al pensiero occidentale moderno; banditi gli studi del persiano Alì Shareatì che, rifacendosi al rinnovamento della lettura del Corano, operato al principio del secolo da Jamal Eddin Afghani, cercava di individuare nelle esperienze sociali dell'antica Persia sciita i principi per creare una nuova società iraniana più moderna e più giusta, gli integralisti di oggi superano perfino l'audace ermeneutica del filosofo cairota Hassan Hanafi.
Per evitare di ampliare troppo il discorso, credo sia utile il riferimento a un'esperienza personale. Il 9 ottobre 1980 mi trovavo a Teheran, durante la cosiddetta rivoluzione a mani nude, ed ebbi un'intervista piuttosto animata con l'Ayatollah Behesti, leader degli integralisti islamici, nemico giurato dell'allora presidente Bani Sadr, il modernista della situazione. Behesti morirà nell'attentato al tritolo del 28 giugno 1981. Ebbene, per cercare di capire un po' meglio che cos'è l'integralismo islamico penso sia utile che io vi citi soltanto un passo di quell'intervista per altro tempestosa.
Io dichiaro: "Dottor Behesti, assistiamo ad una lotta fra laici e religiosi, anzi per essere più precisi tra Bani Sadr, Presidente dell'Iran e lei Dottor Behesti. Esiste fra di voi una drammatica divergenza, potrei sapere qual è?"
Risposta: "Il signor Bani Sadr è convinto che persone sia pure non osservanti purché competenti possano partecipare alla gestione del potere. Noi siamo di parere opposto e siamo noi che contiamo. Ecco, signor Man, la divergenza, ecco la differenza."
Mi pare che questa risposta sia agghiacciante, spieghi tutto. "A me non importa niente se tu sei un bravo ingegnere. Se non sei osservante, fuori! Tu sei ignorante, ma se sei osservante, ti faccio Direttore Generale dei Servizi". Ecco come si capiscono tante cose. Mi cadde francamente un velo dagli occhi e infatti questo è il punto sull'integralismo musulmano. Solo i puri, gli ortodossi, possiedono la verità, cioè la fede, el-imân, e di conseguenza la legge, el-islâm, letteralmente la virtù.
Forse alla luce di tali considerazioni è più facile comprendere come e perché si siano ribellati i fratelli musulmani in Siria dove, come accennavamo prima, nella strage di Hama ufficialmente ci furono ottomila morti ma, di fatto, furono forse più di ventimila. Ma anche altri episodi, quali l'assassinio di Sadat, le rivolte del couscous in Tunisia e in Marocco e quella ancora più tragica in Algeria che ha comportato i ben noti eventi così disastrosi, la riforma agraria in Siria, la tragedia del lumpen - proletariato in Tunisia e in Marocco.
La lotta del puro è contro il corrotto sulla terra, il Toghuti. Un corrotto sulla terra per eccellenza, per gli integralisti islamici, era Sadat, il quale in gioventù, paradossalmente, fu compagno di strada dei Fratelli Musulmani, la famosa Confraternita segreta fondata nel 1929 a Ismaelia da Hassan al Binna. Ma l'umile Hassan, che si ispirava al grande dottore coranico Ibn Ta'mya, morto più di duecentocinquanta anni fa, non predicò mai la guerra civile, piuttosto una specie di Ishtiraki, cioè "socialismo", al quale si ispirò la pur confusa ideologia di Nasser.
A proposito di Nasser voglio raccontarvi un episodio. Anche gli episodi fanno parte della cultura. Quando i giovani generali, i giovani colonnelli, i giovani ufficiali capitanati da Neghib, che era il capoufficiale ma in realtà una testa di legno poiché era Nasser il raiss, conquistano il potere nel '52, la prima cosa che fanno è mandare Ali Sabri, braccio destro di Nasser, poi implicato come "spione" sovietico e condannato all'ergastolo, all'Ambasciata d'Italia.
Costui si presenta e dice: "Sono il Maggiore Ali Sabri, vengo da parte del colonnello Nasser, siamo giovani rivoluzionari, vorrei essere ricevuto da un Segretario d'Ambasciata" . Il Segretario d'Ambasciata lo riceve. "Vorremmo in prestito un volume della Enciclopedia Treccani. Il volume dove si parla delle corporazioni, le famose corporazioni fasciste." Il socialismo nasseriano è mutuato dal corporativismo fascista. Queste sono le bizzarrie della storia. Ho voluto raccontarvi questo accadimento che pochi sanno, ma che io ho vissuto in prima persona.
Un corrotto sulla terra per eccellenza fu Sadat, il quale però era stato compagno di strada dei Fratelli Musulmani. Attenzione, gli assassini di Sadat, due ufficiali e un sergente, appartenevano a una cellula militare ma il vero spirito della congiura integralista era il teologo Abdel Salam Farag, l'unico civile condannato a morte tra le centinaia di imputati del famoso processo che seguì all'uccisione di Sadat.
Le idee di Farag, contenute in un libretto intitolato "Il precetto assente", un libricino stampato in sole cinquecento copie, sono in verità un breviario di fede e di violenza. "Il precetto assente" è stato tradotto nelle lingue di tutti i paesi musulmani: dall'Egitto alla lontana Indonesia. La gente se lo riproduce ancora oggi con il ciclostile. Questi sono fenomeni che non vanno trascurati.
Su un altro punto vorrei richiamare l'attenzione. È opinione diffusa che Sadat sia stato ucciso per avere concluso la pace con Israele. Non è così. La pace con Israele è soltanto una delle colpe di Sadat, esattamente la terza colpa. A Sadat veniva innanzitutto rimproverata la infitah, cioè la politica della porta aperta al capitale straniero e poi i suoi legami con l'Occidente.
In quel famoso libricino, Farag scrive "È vero che la liberazione della terra è un obbligo per ogni musulmano - vedi la Palestina - ma noi insistiamo sul fatto che la lotta contro il nemico più vicino, il Governo corrotto, ha la precedenza sul nemico più lontano, non fosse altro perché il primo è non soltanto corrotto, ma servo dell'imperialismo". In altre parole, la lotta a Israele va benissimo, però prima viene la lotta ai corrotti e corrotto per eccellenza è il signor Sadat. Facciamolo fuori.
A questo punto ci potremmo chiedere chi sono i combattenti di questa Jihad (Jihad non vuol dire Guerra Santa, bensì "sforzo", anche se noi, oramai, interpretiamo questo termine come Guerra Santa) tesa a sostituire i governi corrotti del mondo musulmano con la Repubblica Islamica ispirata al governo di Maometto alla Medina. Un professore israeliano, storico della civiltà musulmana, Emanuel Sivan, in un'analisi dei rapporti fra teologia islamica e politica, fa notare che il sessanta per cento dei duecentottantasei integralisti portati in giudizio per l'assassinio di Sadat erano universitari. Fra questi, la maggioranza erano studenti o laureati in scienza e soltanto cinque avevano studiato teologia alla famosissima Università Coranica al-Azhar del Cairo.
La guerra santa contro il nuovo paganesimo non è condotta da uomini formatisi in scuole religiose, bensì in Università paradossalmente fondate sul pensiero pagano del quale questi intendono servirsi per castigarlo. In altri termini, "io imparo la tua filosofia, il tuo modo di essere, per capirti e poi ucciderti".
I predicatori islamici vengono soltanto in minima parte dalla Università Coranica di Qom in Iran, perloppiù questi predicatori sono studenti della famosissima Università Americana di Beirut e hanno frequentato la Sorbona o anche Perugia.
Abdelkrim Ghallal e Abu Bakr Kadiri, gli ideologi del partito marocchino Istglal, una volta all'opposizione, affermano che solamente la democrazia reale e l'autentica giustizia sociale, quella praticata dal Profeta, possono arginare l'islamismo distruttore di marca khomeinista.
Se questa ricetta è giusta, capace di non far degenerare il risveglio islamico insidiato dal post-khomeinismo, occorrerebbe però trovare nel Corano e nella Sunna valori applicabili al mondo di oggi. In particolare, per arrivare a una democrazia coranica occorre raggiungere quegli strati della società che esigono nel nome di Allah l'abolizione del privilegio e dello sfruttamento, la distribuzione della ricchezza e un po' di giustizia.
Il risveglio islamico, pur nella sua inquietante possanza, non muove tuttavia da un blocco omogeneo, non ha una centrale, dunque è possibile tagliargli l'erba sotto i piedi ma non certo affannandosi a scavalcare a destra gli integralisti come qualche dissennato capo arabo sta facendo. Al contrario, sarebbe necessario interpretare il Corano secondo principi di giustizia antichi quanto il mondo e pertanto attuali. Questo per quanto riguarda la società musulmana.
Noi Occidente, noi Europa, noi Italia, cosa invece dovremmo o potremmo fare per smorzare la carica antagonista insita nel risveglio islamico, un insieme di odio e di frustrazione che vede nel mondo occidentale il Grande Satana? Ho avuto un grande amico che mi onorava delle sua stima, Frane Barbieri, che fece uno studio sul proletariato nei paesi del Terzo Mondo, in particolare nei paesi di recente indipendenza nord-africani o mediorientali. L'industrializzazione in certi paesi del Terzo Mondo ha prodotto un proletariato molto più esasperato di quello dell'epoca paleo-capitalistica. Una massa tradizionalista è stata attirata nella città neocostruita, sradicata dal suo ambiente naturale e immersa nella miseria a contatto diretto con la ricchezza sfrenata degli happy few, apparentemente facile da raggiungere.
L'ansia tipicamente occidentale dell'efficienza, della produttività e della selezione non poteva in un simile contesto che determinare una spinta dilagante all'egalitarismo spontaneo e primitivo. E allora? Il razionalismo occidentale, applicato nelle forme più grette, ha rasentato nel Terzo Mondo, specie in quello musulmano, l'irrazionale, provocando come unica reazione razionale di rigetto la fuga appunto nell'irrazionale, sicché ci troviamo di fronte agli improvvisi e spontanei movimenti di massa in cui il religioso si fonde con il sociale, con il nazionale. Il miraggio della modernizzazione occidentale ha sradicato una massa convulsa mettendola in movimento senza offrirle o indicarle sbocchi adeguati.
Uno dei risultati è che molti di loro arrivano in occidente con il Corano sotto il braccio. Va detto subito, tuttavia, che l'Islam rifiuta il proselitismo, non fa opera di proselitismo, nella convinzione di essere "il giusto", il perfetto in assoluto. Anche la conversione all'Islam è semplice; basta recitare la Sura aprente, la prima, che dice: "C'è un solo Dio e Maometto è il suo Profeta" e si diventa musulmani. Naturalmente si dovrà osservare la preghiera cinque volte al giorno e praticare il digiuno del Ramadan.
Siamo noi cattolici cristiani che amiamo il proselitismo, tant'è vero che l'opera dei nostri padri missionari è odiata e avversata per questo motivo, perché noi facciamo catechesi e portiamo la parola di Cristo. A loro non interessa il proselitismo. Si tratta quindi di un problema che secondo me deve preoccuparci molto relativamente.
Altra questione è quella relativa ai centri culturali islamici presenti in Italia. In teoria, esiste un accordo di "non belligeranza" tra coloro che vivono, per studio o altro, in Italia. Tuttavia, di recente, le cose sembrano cambiare. A San Salvario, a Torino, si sono avuti scontri fra musulmani ed è stato per la comunità islamica una tragedia perché se si cominciano a picchiare fra di loro, a contestare fra di loro, questo blocco che essi, bene o male, costituiscono, si disgrega. Si potrebbe allora tentare un'opera di intossicazione, creare contrasti al loro interno, ma si tratta di un'arma a doppio taglio, perché se ciò finisce per coinvolgere anche cittadini italiani, le conseguenze potrebbero essere incontrollabili.
La religione diventa così l'anelito della creatura oppressa dalla infelicità, l'anima di un mondo senza cuore e lo spirito di un mondo senza spirito. Non sono stati né Khomeini né Giovanni Paolo II a scrivere queste parole, bensì Carlo Marx, prevedendo le fusioni e le confusioni delle attuali rivoluzioni cosiddette sacre. La religione occupa in Carlo Marx un posto importantissimo ed io, francamente, prima di scoprire questo in alcuni documenti avuti a Zurigo, avrei detto che era fantapolitica.
Per l'Occidente è molto difficile difendersi dagli effetti devastanti della carica destabilizzatrice del risveglio islamico, poiché questo potrebbe non più accoppiarsi occasionalmente bensì coniugarsi definitivamente col terrorismo.
A questo riguardo, voglio riferirmi rapidamente alla figura di Osama Ben Laden. Controcorrente affermo che il suo potere è in fase di esaurimento. Si tratta di un uomo costretto a spostarsi continuamente. È un uomo insicuro che ha paura e quando un uomo ha paura non è un forte leader, ma un leader in debito di ossigeno. Ha avuto il suo momento, ha avuto i suoi uomini, oggi è un nome di comodo, è una conchiglia vuota, come il famoso Abu Nidal. Dov'è Abu Nidal adesso? È una conchiglia vuota. Fu sfruttato a suo tempo da Assad e poi buttato via, come un rifiuto.
Lo stesso vale per Carlos: Assad se ne è servito, poi se l'è venduto. Sbaglierò, ma Osama Ben Laden ha chiuso.
Dobbiamo invece renderci conto come a partire dal '67, dalla guerra dei Sei Giorni, la frustrazione araba, e di riflesso musulmana, sia stata alimentata soprattutto dal siero che secerne la profonda ferita oramai purulenta della Palestina.
Il conflitto arabo-israeliano è, a mio avviso, la chiave di tutto. Se non si risolve questo contenzioso, sarà la tragedia. La pace risiede nel cuore antico del mondo, la pace è nel cuore della Palestina e se i governanti israeliani non si rassegneranno a questo, andremo incontro a gravi tragedie e io tremo perché quello che stiamo attraversando in questo momento è un momento estremamente difficile.
I giochi non sono fatti in Siria, in Libano può succedere qualche cosa di drammatico anche perché nella valle della Bekaa si produce l'hashish che, guarda caso, viene esportato con apparecchi militari protetti da una nazione che potrebbe forse essere la Siria.
La pace deve quindi trovare una strada. Tuttavia, finché non sarà resa giustizia al popolo palestinese, finché la nostra pigrizia di fronte all'arroganza dei coloni, figli della destra israeliana, consentirà a un Saddam qualsiasi di sfruttare la tragedia della Palestina per alimentare l'odio contro l'Occidente, ebbene, non ci sarà pace e regnerà la confusione.
Nell'immaginario della gente comune, Islam e terrorismo finiranno ahimé con identificarsi anche a dispetto della verità, a scapito di una grande religione legata ad una civiltà straordinaria. La civiltà islamica ha prodotto Toledo. Se conosciamo Aristotele, tanto per fare un esempio, lo dobbiamo all'Islam.
Uomini e simboli della civiltà occidentale sono oggi obiettivamente minacciati di nuovo da una vera e propria bomba atomica, quella che io mi permetto di chiamare la bomba atomica dei poveri. È un'atomica davvero a buon mercato, perché composta non da costose particelle ma da giovani manovali del terrore, drogati nel nome di Allah da un odio furioso verso il mondo, verso una società, quella occidentale, che essi ritengono responsabile della loro tragedia di gente senza lavoro e senza speranza.
Molti vengono per bisogno, come tanti poveri italiani negli anni '50 andavano in Svizzera e in Germania per i lavori più umili mossi dal bisogno, come molti di quei "poveracci". Ma tanti di loro vengono indottrinati, e questa è la preoccupazione.
Molti di quelli che vengono in Italia ci vedono come nemici da distruggere, da sostituire. Poiché la nostra società italiana, in particolare, è una società a natalità zero, coloro che sono istigati, imbottiti, plagiati possono anche pensare di sostituirsi un giorno a tutti noi, per replicare un grande passato, per ricostituire una nuova Toledo. Se c'è da tremare di fronte alla gente senza lavoro, c'è da impazzire di paura e di sgomento di fronte alla gente senza speranza, perché quando l'uomo perde la speranza non è più un uomo, e molti di costoro non hanno più speranza. È tuttavia anche vero, ce lo dice la storia, che i Saraceni rinunciarono alla conquista di Toledo perché quella regina comparve sugli spalti della città per comunicare agli assediati che il re suo marito era assente. Allora "Malesh", "Pazienza", dissero i Mori e se ne andarono. Il fatto è storico.
Questo per dire che anche la tolleranza, il senso del compromesso, del relativismo, sono dentro il DNA degli arabi e dei musulmani in genere. Lavorando su tutto questo possiamo forse, con un abile lavoro di intelligence, sceverando il grano dall'oglio, creare una sorta di equilibrio.
È vero che i nostri emigranti soffrivano umiliazioni. Feci un'inchiesta in Svizzera e in Germania, soffrivano. Ma bene o male erano in una società occidentale, in una società di valori comuni, cristiana. Quindi, erano in un certo senso a casa loro.
Fino a quindici-vent'anni fa, quelli che arrivavano altro non sognavano che inserirsi nella nostra società. Oggi questo scenario è cambiato. Con il risveglio islamico queste persone hanno acquisito coscienza di appartenere a un'enorme religione-cultura, o cultura-religione per cui pretendono rispetto e che vogliono praticare.
La nostra società, che li accoglie, non è preparata, ignora tutto ciò, ecco l'incomprensione, ecco l'attrito, ecco lo sfruttamento, ecco lo scontro, ecco l'odio.
Cosa si può fare? Nessuno di noi può proporre ricette, di noi, dico, giornalisti, di noi studiosi del problema.
Un certo lavoro in quei paesi è stato tentato. La Fiat ha aperto una fabbrica in Algeria che è coperta dalla sabbia, anche l'Eni lavora. Ma non basta. Il lavoro deve portare anche all'indotto, al terziario, che non si è mai sviluppato. Raccomandarsi l'anima al Signore è troppo poco.
Allora penso che una politica senza isterismi, fatta più di analisi che di immagini, uno studio accurato della cultura e della religione di questa gente, un sapiente lavoro di scrematura possano salvarci da quella che chiamo la bomba atomica dei poveri.
Come andrà a finire? Allah' ya'lam, Dio solo lo sa.


(*) Testo della Conferenza tenuta dal Dr. Igor MAN il 14/06/2000 presso il SISDe.

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